"I fedeli (…) hanno il diritto e talvolta anche il dovere di manifestare ai Sacri Pastori il loro pensiero su cio che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli." (Codice di Diritto Canonico, can. 212, §2-3)

"Sia la comunicazione all'interno della comunita ecclesiale che quella della Chiesa con il mondo richiedono trasparenza (…) per promuovere nella comunita cristiana un'opinione pubblica rettamente informata e capace di discernimento" (S.S. Giovanni Paolo II, Lett. Apostolica "Il rapido sviluppo" 24.1.05 n.12)

L’ultimo atto di un processo-farsa

Non c’è nulla di nascosto che non verrà manifestato” (Mt 10,26)

L’ultimo atto di un processo-farsa

S.E. Mons. Eduardo Davino, per dare spessore alle deposizioni delle “due testi fondamentali” – Alessia Zimei e Gabriella Parisse – si appella alla “parola” e alla “testimonianza” di S.E. Mons. Giuseppe Molinari:

(…) è davvero incredibile, come già prima si accennava, che i Rev.mi Giudici di prima istanza non abbiano dato il peso che spettava alla testimonianza di S.E. Mons. Molinari, considerandolo invece alla stregua di uno sprovveduto insieme ai responsabili della Congregazione per la Dottrina della Fede.

E’ stato difatti Mons. Molinari a ricevere le confidenze di due delle testimoni chiave del processo e ad indirizzarle alla Congregazione per la Dottrina della Fede. (…) La testimonianza di queste due testi è avvalorata dalla parola di S.E. Mons. Molinari il quale, oltre a dare un giudizio positivo su di esse, conferma di essere stato Lui ad indirizzarle alla Congregazione”.

Si resta perplessi: Mons. Eduardo Davino porta come garante della Verità (delle testi) proprio quel Mons. Giuseppe Molinari che è stato l’artefice del complotto contro Padre Andrea D’Ascanio e che ha spinto queste testi a denunziarlo in più tribunali!

(http://www.truthaboutpadreandreadascanio.net/hystory-of-a-process-ita.php)

La perplessità aumenta quando Mons. Davino asserisce che fu proprio Mons. Molinari “ad indirizzare le due testi alla Congregazione”, confermando così che Mons. Molinari ha agito contro la morale e contro più canoni del Codice di Diritto canonico:

Ha ignorato il suo superiore Mons. Mario Peressin:

Can. 407 § 1.: “… Il Vescovo diocesano e il coadiutore si consultino tra di loro nelle questioni di maggiore importanza”;

§ 3.: “Il Vescovo coadiutore, in quanto chiamato a partecipare alla sollecitudine del Vescovo diocesano, eserciti i suoi compiti in modo da procedere insieme con lui di comune accordo”

Mons. Molinari, se avesse veramente ricevuto le “confidenze di due delle testimoni chiave del processo”, avrebbe dovuto fare - d’accordo con il suo Superiore - una “indagine previa”:

Can. 1717 - § 1. “Ogniqualvolta l’Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità…”.

In seguito, secondo il can. 1720 - sempre d’accordo con il suo Superiore - avrebbe dovuto:

rendere noto all’imputato l’accusa e le prove, dandogli la possibilità di difendersi…”.

Infatti, come riferisce la sentenza assolutoria a p.17:

Mons. Mario Peressin si lamentava veementemente di non essere stato consultato, pur essendo lui il Vescovo diocesano, e del fatto che non fosse stata concessa al P. Andrea D'Ascanio la minima opportunità di difendersi”.

Infine, se lo avesse ritenuto necessario, sempre d’accordo con il suo Superiore, avrebbe potuto avviare il processo giudiziario in diocesi, secondo il can. 1721.

Questo perché, stando al Can.1419 § 1.: “In ciascuna diocesi e per tutte le Cause (…) giudice di prima istanza è il Vescovo diocesano…”.

Queste norme del CDC Mons. Davino le conosce ma - come emerge continuamente in questo processo – egli si considera al di sopra del Codice, della oggettiva verità dei fatti e delle prove.

Unica sua preoccupazione è eseguire gli ordini ricevuti emanando una sentenza di condanna dimenticando il IV Comandamento: non uccidere.

Il precedente Tribunale non considera Mons. Molinari uno “sprovveduto” ma il cosciente artefice dell’intero impianto accusatorio; di fatto lo condanna a pagare i quattro quinti delle spese processuali e lo dichiara colpevole di aver coinvolto “i responsabili della Congregazione Dottrina della Fede”.

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L’Armata Bianca è una “setta”?

Mons. Eduardo Davino, dopo aver dimostrato “con accurate argomentazioni” (?!) che la tesi del complotto e la prova delle intercettazioni telefoniche sono “inconsistenti”, si dilunga nel descrivere il “clima di rigida obbedienza nei confronti del “Capo” (nel caso Padre Andrea D’Ascanio) che “spersonalizza le persone” e ne fa delle sue vittime.

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I “testi credibili”

Non potendo utilizzare ufficialmente la testimonianza di Rosa Ciancia, l’unica teste convocata che si è dimostrata “falsa e inattendibile” anche in questo tribunale, Mons. Davino riesuma dal primo processo – oltre a Gabriella Parisse e Alessia Zimei delle quali si è già parlato - fr. Antonio Tofanelli, Liliana Claps, S.E.Mons. Vairo, S.Ecc.Rev.ma Mons Tarcisio Bertone, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede..

E ripropone ancora una volta, indirettamente, Don Gabriele Nanni e Rosa Ciancia Pelliccione.

Esaminiamo questi testimoni selezionati su oltre 40.

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Fr. Antonio Tofanelli

Scrive S.E.Mons. Davino nella sentenza di condanna:

Non sarà inutile, per delineare in parte il clima che si viveva nell’Armata Bianca, riportare la frase di un teste che non ha motivo di deporre a favore o contro il convenuto: “Io penso che P. Andrea sia un uomo che non sta tanto bene… a me dà l’impressione di essere un mitomane… forse P. Andrea non sta bene. Cioè è un po’ mitomane. Questo forse è il suo problema, come se giocasse a fare il santo…”.

Anche questo nuovo accusatore ha fatto parte dei giovani che Padre Andrea D’Ascanio aveva accolto per prepararli al sacerdozio; aveva partecipato alla Peregrinatio Mariae in Russia, Ucraina e Bielorussia nel ’92-‘93 e si era poi trasferito a L’Aquila per iniziare gli studi di teologia. Così parla di Padre Andrea nella sua deposizione al Tribunale di primo grado:

A fine degli anni ’80 ho conosciuto questo frate (…) lo conobbi e mi fece un’ottima impressione… l’impressione che mi ha dato è stata veramente un’ottima impressione, una persona sicuramente carismatica, che presentava diciamo così il volto del Padre in un modo veramente appassionante, gratuito, insomma era bello sentirlo parlare…; è venuta fuori questa mia vocazione e cominciai a seguire Padre Andrea… era una persona che dava, mi dava molto”.

Da allora Antonio Tofanelli se ne è andato e non ha più incontrato Padre Andrea D’Ascanio. Come conciliare le contrastanti espressioni di questo fraticello che, mentre dichiara che la sua vocazione è nata dalla frequentazione con Padre Andrea, lo definisce ora, senza averlo più incontrato, un “mitomane che gioca a fare il santo”?

Questa considerazione devono averla fatta anche i giudici del Tribunale di prima istanza e, nella sentenza di assoluzione, leggiamo a pag. 101:

Fra Antonio Tofanelli è un giovane cappuccino (…) la sua testimonianza aveva come scopo rendere credibili le denuncianti di “sollecitatio ad turpia”, in particolare la dott.ssa Alessia Zimei. Ma tutta la sua informazione al riguardo proviene dalle stesse denuncianti al momento della costituzione del pool (giugno-novembre 1996)”.

In altri termini Frà Antonio Tofanelli è un testimone del “sentito dire”, che di suo sa dire solo cose contraddittorie e offensive.

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Liliana Claps

I giudici del primo tribunale, dopo aver ascoltato la sig.ra Liliana Claps, la avevano squalificata come teste. Leggiamo nella sentenza di assoluzione, a pag. 55: “Sulla salute mentale della Sig.ra Liliana Claps basta trascrivere alcuni brani della sua deposizione a questo tribunale (…)”.

Ma proprio perché psicologicamente molto fragile i coniugi Domenico e Rosa Pelliccione sono andati a trovarla a Potenza e la hanno portata a testimoniare contro Padre Andrea D’Ascanio, prima al Tribunale ecclesiastico e poi a quello penale di L’Aquila. In ambedue i tribunali emerge dinanzi a tutti il suo precario stato di salute mentale.

La hanno poi sollecitata con continue telefonate, come risulta dalle intercettazioni telefoniche ordinate dalla Procura della Repubblica di L’Aquila.

Degne di nota quella nella quale la Sig.ra Rosa Ciancia Pelliccione la invita a “rafforzare” (?!) le accuse perché finalmente si possano “mettere i ferri” a Padre Andrea (telefonata n. 1130 del 13 gennaio 2000) e quella in cui la sig.ra Claps dice che sta “pregando moltissimo perché, per il bene della sua anima, gli (a Padre Andrea) venisse un cancro” (telefonata n. 1859 del 4 febbraio 2000).

Ma il fatto che sia stata dichiarata inattendibile dai membri del primo Tribunale ecclesiastico e dallo stesso Promotore di Giustizia don Marcuzzi, che hanno ascoltato la sua testimonianza, non ha alcun peso per il Presidente Davino che dichiara a p. 9 della sentenza di condanna:

Tralasciando pure la testimonianza di L.L.C. che, atteso il carattere della deponente, potrebbe ritenersi piuttosto frutto di esaltazione che di corrispondenza ai fatti, anche se non è questo il nostro convincimento (…)” (p.9)

Mons. Davino non ha mai incontrato la Sig.ra Liliana Loi Claps., ma ritiene che meriti una qualche credibilità e non si rende neanche conto della contraddizione in cui cade: se decide di “tralasciare” questa teste, “atteso il carattere della deponente”, perché poi di fatto la ripropone?

Perché non ha testi validi a cui aggrapparsi.

Ciascuno ha diritto ad avere un suo personale “convincimento”. Ma nessun giudice, e ancor meno un giudice ecclesiastico che apre la sua sentenza “in nomine Domini”, può condannare un innocente in base alla testimonianza di una psicolabile.

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Mons. Vairo

“…per non menzionare qui la testimonianza di S.E. Mons. Vairo, Arcivescovo di Potenza…”

Mons. Eduardo Davino inserisce tra i testimoni “qualificati” anche l’83enne Mons. Vairo, ricoverato in una casa di riposo di Potenza, coinvolto anche lui da Mons. Giuseppe Molinari su segnalazione di Liliana Loi Claps.

Le affermazioni di questo anziano Vescovo sono risultate totalmente false in seguito alle indagini fatte dal Presidente del precedente Tribunale. L’unica cosa degna di rilievo è la sua asserzione:

Fui interpellato sul caso D’Ascanio dall’Arcivescovo dell’Aquila, mons. Molinari, allora Vescovo Coadiutore di quella Diocesi”.

Ulteriore conferma dell’ampia azione svolta dall’Arcivescovo dell’Aquila contro Padre Andrea.

Mons. Davino, conscio della fragilità di questi testimoni, recupera ancora una volta don Gabriele Nanni e Rosa Ciancia Pelliccione:

E’ in questo quadro che si inquadrano le testimonianze di don Gabriele Nanni e Rosa Ciancia Pelliccione”.

In riferimento a Don Gabriele Nanni si rimanda al sito:

cfr: http://www.truthaboutpadreandreadascanio.net/don-gabriele-nanni-ita.php

A proposito di Rosa Ciancia Pelliccione, chiamata quattro volte a testimoniare davanti al Tribunale di prima istanza per complessive 11 ore, è scritto nella sentenza di assoluzione a pag. 22:

Malgrado tante occasioni e tanta foga, in crescendo, per dire a questo Tribunale tutto quanto potesse danneggiare P. Andrea, la Sig.ra Rosa Pelliccione ha dichiarato alla magistratura italiana nuovi gravissimi fatti (…) da lei stessa subiti dal P. Andrea D’Ascanio (cfr. atto del processo n. 643). Tali atti non erano stati mai dichiarati a questo Tribunale, anzi erano stati formalmente negati. Infatti, alla domanda del Presidente: “A lei risulta che questi fatti (...) siano avvenuti da parte del P. Andrea?”, la Sig.ra Rosa Pelliccione rispose: “A me personalmente, no”. (atto del processo, n. 166)”.

Rosa Ciancia Pelliccione è l’unica teste che il Tribunale di seconda istanza ha ascoltato ma che non ha osato porre tra le “testimoni fondamentali”. Però Mons. Davino, sebbene la riconosca non credibile, si serve delle sue dichiarazioni per “delineare” un supposto “clima di equivoco misticismo e soggezione” che avrebbe regnato nell’Armata Bianca.

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S.E.Mons. Tarcisio Bertone

Cercando supporti per la condanna già decretata, Mons. Eduardo Davino si appella a S.E. Mons. Tarcisio Bertone, allora Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede:

Va ancora aggiunto che certamente la teste Alessia Zimei in Congregazione ha avuto anche un colloquio con l’allora Segretario, S.E. Tarcisio Bertone e non é pensabile che anche Lui non abbia valutato adeguatamente la questione prima di dare inizio al processo”.

Mons. Tarcisio Bertone ha “valutato adeguatamente la questione”, sono sue infatti tutte le iniziative prese contro Padre Andrea D’Ascanio e l’Armata Bianca. Elenchiamo le principali:

1° - L’8 dicembre 1996 è programmata a Quito (Ecuador) l’ordinazione di due diaconi dell’Armata Bianca. Tutto è in regola ma, a pochi giorni dalla ordinazione, il Nunzio Mons. Francesco Canalini così scrive a S.E. Mons. Antonio Gonzalez, Arcivescovo di Quito:

Nunziatura Apostolica in Ecuador Quito, 27 Novembre 1996

Eccellenza:

Adempio il dovere di notificarle che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha avuto notizia che per l’8 dicembre prossimo è programmata l’ordinazione sacerdotale di due giovani diaconi appartenenti alla Associazione o Movimento “L’Armata Bianca”.

A motivo delle particolari riserve di carattere dottrinale e disciplinare e non avendo avuto i due giovani la necessaria formazione teologica con permanenza in un Seminario, le trasmetto le istruzioni del menzionato Dicastero Romano perché si astenga dalla programmata ordinazione sacerdotale.

Francesco Canalini

Nunzio Apostolico

Le “istruzioni” vengono da S.E.Mons. Tracisio Bertone, Segretario della CDF.

L’ordinazione viene bloccata, anche se le motivazioni addotte non sono valide: non ci sono mai state “riserve di carattere dottrinale e disciplinare” nei confronti dell’Armata Bianca; i due diaconi avevano terminato gli studi presso Università pontificie e avevano frequentato per circa due anni il seminario Cavanis di Quito, come attestato e sottoscritto dai Direttori dello stesso:

Dichiariamo che i due seminaristi italiani hanno vissuto nel nostro seminario facendo un cammino di formazione serio e responsabile per circa due anni (...)”

2° - Tornati in Italia i due diaconi vengono accolti dall’arcivescovo dell’Aquila S.E. Mons. Mario Peressin che li incardina nella diocesi, fa le dovute indagini e, assicuratosi che tutto è in regola, fissa la data dell’ordinazione per il 1 maggio 1997.

Interviene ancora S.E. Mons. Tarcisio Bertone che così scrive a Mons. Mario Peressin:

Congregazione per la Dottrina della Fede 22 aprile 1997

Prot A.S. 503-04090

Eccellenza,

secondo segnalazioni pervenute a questa Congregazione, il 1° maggio p.v., l’Eccellenza Vostra avrebbe intenzione di conferire in codesta Arcidiocesi l’Ordine del presbiterato a due giovani appartenenti all’Associazione “L’Armata Bianca”.

A motivo delle particolari riserve di carattere dottrinale e disciplinare rilevate nella predetta Associazione e soprattutto in considerazione che detti candidati non avevano frequentato alcun Seminario, questo Dicastero è già dovuto intervenire presso il Nunzio Apostolico in Ecuador, per impedire che tali ordinazioni fossero effettuate.

Al presente, mi sento nuovamente in dovere d’intervenire – d’intesa con l’Em.mo Cardinale Segretario di Stato e con S.Em.za il Card. Pio Laghi, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica – per indurLa a recedere dalla suddetta programmata ordinazione sacerdotale.

Nella certezza che l’Eccellenza Vostra vorrà dare – anche in questo caso – prova della Sua fedeltà alle direttive della S. Sede, profitto volentieri della circostanza per confermarmi, con sensi di distinto ossequio

Dev.mo + Tarcisio Bertone

Il contenuto è identico a quello della prima volta, Mons. Bertone aggiunge solo che “il Card. Segretario di Stato e il Card. Pio Laghi” sono d’accordo con questa decisione.

Mons. Bertone - essendo state già sciolte le obiezioni addotte la prima volta - intimidisce Mons. Peressin chiamando a sostegno della sua arbitraria decisione il Segretario di Stato e un altro potente Cardinale. Raggiunge lo scopo.

Rispetto al veto precedente c’è una sola variante: la comunicazione viene data ai diaconi la sera del 30 aprile, 12 ore prima dell’ordinazione, con tutte le conseguenze facilmente intuibili per le loro famiglie e per le centinaia di invitati venuti da varie parti del mondo.

La stampa locale commenta la decisione con sarcastici articoli nei quali si legge che i due diaconi “sono rimasti con un palmo di naso”.

3° - Mons. Peressin, avendo chiarito in Vaticano la inconsistenza delle motivazioni del veto, fissa una terza volta la data dell’ordinazione dei due diaconi per il 17 maggio 1998 e chiede l’autorizzazione a Roma. Questa la risposta, su carta non intestata e con firma non autografa – un semplice timbro – del Prefetto Card. Joseph Ratzinger:

28 aprile

A.S. 503

Eccellenza,

con lettere N.142/98 del 16 marzo u.s., l’Eccellenza Vostra chiedeva a questo Dicastero di sciogliere le riserve circa l’ordinazione sacerdotale dei due diaconi e di consentirle così di procedere alla loro ordinazione presbiterale il 17 maggio p.v.

In merito mi premuro significarLe che questa Congregazione – dopo aver attentamente valutato le personali vicende dei predetti diaconi e il loro coinvolgimento con le attività della “Armata Bianca” e del suo fondatore, nei cui confronti è in corso una seria verifica da parte di questo Dicastero – ritiene che per poter accedere alla Sua richiesta debbano verificarsi due importanti condizioni.

In primo luogo l’Eccellenza Vostra, per poter conferire il sacro ordine del presbiterato ai diaconi dovrà avvalersi della previa autorizzazione e consenso scritto del Suo Ecc.mo Arcivescovo coadiutore, Mons. Giuseppe Molinari, anche in considerazione della prossima scadenza del Suo mandato.

In secondo luogo, è necessario che i due candidati, prima dell’eventuale ordinazione esprimano – per mezzo di una dichiarazione scritta e firmata – la loro intenzione di sciogliere ogni loro rapporto e legame con la predetta associazione denominata “Armata Bianca” e col suo fondatore e la volontà di porsi a totale servizio e obbedienza dell’Arcidiocesi e del suo Pastore proprio.

In attesa di un Suo riscontro a quanto sopra, profitto volentieri dell’occasione per porgerle i miei più distinti ossequi, confermandomi

Non si comprende perché la lettera non venga scritta, come di norma, su carta intestata e perché la firma del Prefetto Card. Ratzinger non sia autografa, ma apposta con un timbro. Chi si cela dietro la firma timbrata?

I diaconi così rispondono a Mons. Peressin che ha consegnato loro fotocopia della lettera:

L’Aquila, 7 maggio 1998

Eccellenza Rev.ma,

(…) Abbiamo meditato e pregato sulla proposta che ci è stata fatta, a firma (!?) del Card. Ratzinger: essere ordinati sacerdoti a condizione che sottoscriviamo una dichiarazione con la quale ci stacchiamo in modo definitivo dall’Armata Bianca e dal suo fondatore, P. Andrea D’Ascanio, “nei cui confronti è in corso una seria verifica”.

(…) questa dichiarazione sarebbe un vero tradimento nei confronti del Movimento nel quale operiamo da diciotto anni e darebbe adito ad ulteriori calunnie nei confronti del P. Andrea.

Crediamo nella validità del Movimento voluto da P. Pio da Pietrelcina; da P. Andrea non abbiamo ricevuto che del bene e a lui dobbiamo il nostro cammino di spirito e la nostra vocazione sacerdotale. Mai abbiamo riscontrato in lui “sospetti errori dottrinali e disciplinari”, come dichiarato nella stessa lettera della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede con la quale fu bloccata per due volte la nostra ordinazione sacerdotale.

Neanche Lei, Eccellenza, che conosce e segue P. Andrea e l’Armata Bianca da molti anni, ha mai riscontrato “errori dottrinali e disciplinari”; e neanche i Superiori cappuccini, con il permesso dei quali egli ha sempre operato.

Cosa c’è dietro questa strana prassi?

Ora, per essere ordinati sacerdoti, ci viene chiesto di sottoscrivere una dichiarazione nella quale esprimiamo “l’intenzione di sciogliere ogni nostro rapporto e legame con l’Armata Bianca e con il suo fondatore”. Questa condizione suona quasi ricatto ed è di fatto una accusa e un tradimento nei confronti dell’Armata Bianca e di P.Andrea.

Servire Dio e la Chiesa è la nostra unica aspirazione, ma non possiamo iniziare il nostro sacerdozio all’insegna del tradimento e della calunnia. Prima che sacerdoti vogliamo essere uomini.

La ringraziamo ancora e Le assicuriamo che è al centro del nostro cuore e delle nostre preghiere. Ci benedica sempre.

I Suoi due diaconi

L’ordinazione viene annullata per la terza volta.

4° Mentre S.E. Mons. Tarcisio Bertone si impegna a bloccare le ordinazioni sacerdotali dei diaconi dell’Armata Bianca, S.E. Mons. Giuseppe Molinari si attiva per reperire i testimoni e i capi d’accusa contro Padre Andrea D’Ascanio, servendosi del “pool” che fa capo alla famiglia Zimei, facendo leva soprattutto su Alessia Zimei e su Gabriele Nanni, come è già stato dichiarato in questo sito.

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Le accuse contro Padre Andrea D’Ascanio

E’ giunto il momento di parlare delle 21 accuse sulle quali è stato impiantato il primo processo ecclesiastico contro Padre Andrea D’Ascanio.

Ma prima è opportuno porsi un interrogativo:

Come è possibile che questo Sacerdote che ha realizzato cose notevoli (cfr www.armatabianca.org), che ha goduto della stima e della fiducia di Sua Santità Giovanni Paolo II che lo ha sempre seguito e benedetto in notevoli iniziative (Udienza a 10.000 bambini, Seppellimento dei Bimbi uccisi dall’aborto, Peregrinatio Mariae per tutto l’Est, Consacrazione di milioni di piccoli, formazione di migliaia di Nidi di Preghiera: di tutto il Papa era informato e dava direttive tramite un Cardinale a Lui molto vicino); che ha sempre operato in obbedienza e in collaborazione con i suoi Superiori (basti ricordare l’Implantatio Ordinis dei Cappuccini in Romania); che è stato accolto da decine di Cardinali e Vescovi nelle sue iniziative; che in 42 anni di vita religiosa e 35 di sacerdozio non ha mai avuto un richiamo sulla sua condotta e moralità... come è possibile che improvvisamente questo sacerdote debba subire un processo ecclesiastico per 21 capi di accusa che riassumono quasi tutti i crimini contemplati dal Codice di Diritto canonico?

Da dove hanno origine tutte queste accuse?

Nascono nella mente e nel cuore di Gabriele Nanni e prendono corpo in Alessia Zimei che le fa sue e le sottoscrive, come risulta dalle sue dichiarazioni alla Congregazione della Dottrina per la Fede.

La Zimei, appena tornata dall’Ecuador, va a trovare Gabriele Nanni nella Casa di Probandato della Pro Deo et Fratribus a Civitella del Tronto (TE) e passa con lui l’intera giornata del 2 novembre 1996 a parlare di “tante cose”. Alla fine della lunga chiacchierata, Gabriele Nanni le dichiara di avere “nove capi d’accusa contro P. Andrea” (Secondo interrogatorio di Alessia Zimei alla CDF, p.3).

Il Nanni conferma di essere lui l’estensore delle accuse nella sua deposizione al Tribunale: “ci sono diversi punti, mi sembra di aver detto nove punti, di cui Padre Andrea non va” (primo interrogatorio di Gabriele Nanni alla CDF, p.19)

Questi “nove capi d’accusa” vengono ufficializzati e corredati dei relativi canoni ad opera del promotore di Giustizia (Pubblico Ministero) Don Piergiorgio Marcuzzi che li suddivide poi in 21 reati. Ma, per quanto si impegni a dividere e a moltiplicare le accuse di Gabriele Nanni, il Promotore di Giustizia si rende conto della fragilità dell’impianto accusatorio che non garantisce una sicura condanna.

4° - Ancora una volta c’è l’intervento di S.E. Mons. Tarcisio Bertone che fa un lungo e dettagliato elenco di tutti i “peccati” che si possono commettere contro il VI comandamento e che Padre Andrea D’Ascanio avrebbe commessi sempre e solo durante le confessioni sacramentali: circostanza questa che nel mondo ecclesiale trasforma il “peccato” in “crimine” per il quale si possono applicare le massime sanzioni.

Con chi Padre Andrea D’Ascanio avrebbe connesso questi crimini? Naturalmente con Alessia Zimei alla quale Mons. Bertone - come già fece Mons. Molinari - fa sottoscrivere la circostanziata denuncia corredata da tutti i canoni del Diritto Canonico.

Una denunzia perfetta, troppo precisa per essere formulata da una ragazza che non ha conoscenza di codici ecclesiatici e che, quando le viene chiesto chi la abbia aiutata a stilare la sua denuncia in maniera così tecnica risponde: “Padre Sebastiano di San Bernardino”. Dalle indagini fatte dal Tribunale, questi risulta essere un religioso anziano e fortemente esaurito, che poco o nulla sa di Diritto canonico.

Il Tribunale di prima istanza convoca allora ufficialmente a testimoniare S.E. Mons. Tarcisio Bertone, che non si presenta, “perché era già intervenuto nell’avvio della causa giudiziale” (cfr Sentenza assolutoria p. 35)

5° “In alto” la sentenza assolutoria di primo grado non è gradita, come aveva ben previsto il precedente Tribunale nella sentenza (pag. 37) e – appena due giorni dopo che è stata emessa – viene indetto il processo di appello.

La composizione del nuovo Tribunale è di totale fiducia di S.E. Mons. Tarcisio Bertone: il pubblico ministero è sempre Don Pier Giorgio Marcuzzi e uno dei due giudici è Don Sabino Ardito, ambedue salesiani come lui e suoi antichi colleghi nell’insegnamento.

La disponibilità del Presidente S.E. Mons. Eduardo Davino emerge ampiamente in questo penoso processo-farsa: non ha mai convocato l’imputato, ha fatto di tutto per farlo arrivare al processo senza avvocato difensore, non ha accettato le evidenti prove delle intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura di L’Aquila, ha convocato la sola teste Rosa Ciancia vistosamente menzognera, non ha tenuto alcun conto della precedente sentenza assolutoria di 120 pagine che sintetizzano le oltre 4.000 degli atti processuali… ed emette una sentenza di 12 pagine delle quali solo tre riguardano gli accusatori già esaminati nel precedente processo e ritenuti non credibili. E così conclude:

L’imputabilità del convenuto è dunque sufficientemente provata (!!!) e vanno applicate nel caso le pene previste dal codice”.

Quindi i giudici S.E. Mons. Eduardo Davino, Mons. Brian Edwin Ferme, Mons. Sabino Ardito si riuniscono e così sentenziano:

Tutto quanto finora dedotto in diritto e in fatto, attentamente considerato, Noi sottoscritti Giudici di appello, avendo Dio solo dinanzi agli occhi e invocato il nome di Cristo, dichiariamo e definitivamente sentenziamo che l’imputato è colpevole…”.

Le pesanti sanzioni imposte al “colpevole” sono già state riportate in questo sito e sono a tutti note perché i più alti responsabili della Congregazione per la Dottrina della Fede le hanno fatte diffondere “in tutto l’orbe cattolico”.

Ma i Giudici superano la misura quando chiamano Dio stesso a testimone del loro operato ed emettono la sentenza in nome di Cristo - Verità e Vita - mentre commettono il più grave dei peccati che grida vendetta al cospetto di Dio: un omicidio volontario nei confronti di un Sacerdote innocente.

I trenta denari sono diventati oggi 27.000 euro, ma col tempo ci si perfeziona: i 30 denari furono dati da chi aveva commissionato l’omicidio; oggi i 27.000 euro sono stati fatti pagare da chi è stato ucciso.

Perché tanto odio e tanta persecuzione?
Anche questo “perché” sarà manifestato.